Amore.
Una piccola parola sulla bocca di tutti. Una parola in grado di mettere in imbarazzo i più grandi pensatori, mentre altri liquidano tutte le difficoltà con una definizione cinica e semplicistica. Lessi per la prima volta un saggio di Recalcati sull’amore cinque anni fa, quando frequentavo il liceo e ogni mio giorno era accompagnato dalle riflessioni a cui, un professore speciale che mi ha accompagnata in un percorso di tre anni, mi spingeva. Fu proprio questo professore a farmi conoscere Recalcati, prendendolo più volte come punto di riferimento nelle sue lezioni. Lessi Non è più come prima l’ultimo anno del liceo, poco prima di intraprendere un percorso universitario grazie al quale la lettura dei saggi è parte della mia quotidianità, ma questo volume rimane ancora, a distanza di anni, il mio preferito in assoluto. Perché? Forse per la sua capacità di emozionarmi. Perché è scritto da uno psicanalista che, nel corso della sua professione, ha registrato ogni sfumatura dei sentimenti umani e ne tratta in un modo tutt’altro che clinico, tutt’altro che asettico. Perché elogia l’amore incondizionato e, tra tutta questa diffidenza, è una boccata di aria fresca.

Un sollievo.
Ieri (6 settembre 2019), ho avuto la fortuna di partecipare a un incontro del Festivaletteratura in cui trattava proprio di questo tema: l’Amore. E ho provato le stesse emozioni, la stessa commozione, che anni fa provai leggendo le parole impresse in quel piccolo libretto. Per questo vorrei provare a riportare, qui di seguito, un piccolo resoconto di quanto è stato detto in questo incontro, con l’aggiunta di qualche riflessione personale.

Recalcati distingue tra due forme di amore. In primis, v’è l’amore dell’Uno (di sé per sé, l’amore narcisistico), quello che fa male, quello che assoggetta l’Altro alle aspettative personali dell’amante. L’amore per cui l’amante non fa altro che proiettare se stesso nell’amato, caricandolo così di desideri definiti, di pretese condizionate dal proprio vissuto, dalle proprie paure. Insomma, si proietta nell’Altro l’insoddisfazione di se stessi nel tentativo di colmare le lacune che ciascuno sente dentro di sé. Questa forma di amore è quello che lui definisce malato, ossessivo, quello che arriva a ferire, sfregiare, uccidere, nei modi più brutali, sostituendo le botte alla carezza, gli insulti al sostegno. Il male arriva quando chi ama se stesso nell’Altro non trova una risposta adeguata alle proprie pretese, giungendo a sentire un vuoto insanabile, una delusione soffocante, che non lascia scampo. È esattamente il tipo di amore descritto da Freud, che liquida definitivamente questo sentimento – in realtà pieno di sfumature – come null’altro che un riflesso ingannevole e narcisistico. L’amore per Freud è sempre l’amore per noi stessi. Attraverso tutto ciò, si arriva a desiderare di possedere l’altro, di tenerlo incatenato come una parte del sé, parte della propria carne, senza cui diverrebbe impossibile respirare. Così, si scade nel tentativo di limitare la libertà dell’amato, alimentando un vortice d’insoddisfazione, poiché, come dice lo psicanalista, il vero desiderio dell’amante è vedere l’altro libero di andare, libero di vivere la sua vita totalmente indipendente, e nella sua libertà decide comunque di tornare, nonostante la possibilità di fuggire. Il segreto dell’amore, la vera soddisfazione, è un Ancora, la più grande sfida dell’amore, che si contrapponga al Nuovo. Scegliere sempre lo Stesso nonostante l’esperienza o la tentazione del Diverso.

Lo psicanalista lacaniano contrappone a tutto questo l’idea per cui l’amore esclude la violenza, l’assoggettamento, e viceversa. L’amore è per lui senza condizioni. Senza termini da sottoscrivere. Senza aspettative in cui rinchiudere l’oggetto del desiderio. Non amiamo perché ci venga restituito qualcosa. Amiamo senza spiegazioni, perché ci sarebbe impossibile non farlo. Chi ama, non chiede altro che la possibilità di continuare ad amare l’Altro, e questo punto ha molte implicazioni, come la presenza di chi amiamo per dare spazio al sentimento, la traboccante volontà di donarsi, in un dono che si distanzia da uno spirito sacrificale per cui ci si costringe a sopportare pene e dolori in vista di un futuro roseo, vicino a ciò che desideriamo. L’amore non sacrifica l’oggi per il domani. L’amore è un dono gratuito. È un esserci che non ha condizioni. Amore sono le braccia della madre che cura il figlio non perché domani stia bene e rimanga con lei, ma perché oggi stia bene. Perché nella cura, la madre trova la soddisfazione. Così, l’amante, nel donarsi, e nell’incontro con il Diverso, con l’insanabile differenza che l’Altro porta necessariamente con sé (il mistero dell’Altro), trova l’essenza e la soddisfazione del suo sentimento.
Perché mi emoziona così tanto Recalcati? Solo la lettura dei suoi testi, probabilmente, può rendere l’idea. Ma ciò che mi piace di lui è che, nonostante come psicanalista si trovi quotidianamente di fronte a tutti i motivi per cui credere nell’amore sarebbe da stupidi, ha comunque il coraggio di proporre un’idea di legami che non conosce scadenza, termini da sottoscrivere, perché i sentimenti non si decidono. Perché oggi l’Ancora è ridicolizzato, è considerato obsoleto, perché i social ci permettono di essere in contatto con una miriade di persone, ma non si dice mai che chi ama potrebbe avere davanti tutte le possibilità del mondo, e decidere comunque di rinnovare la promessa di un sentimento che non conosce confini. In questo senso v’è l’amore dei e per i genitori. Non scegliamo noi da chi nascere, e talvolta non è nemmeno chi ci mette al mondo a meritarsi il titolo di genitore. Genitore è chi ti cresce. Chi amerai e ti amerà sempre, nonostante il tempo, lo spazio, le incomprensioni, le delusioni, la diversità. Il genitore è il primo Altro che ci accoglie senza condizioni. Ma chi l’ha detto che non possa essere così in ogni tipo di rapporto? Non è la biologia a legare. Come lui ripete continuamente, l’amore non ha niente a che vedere con la natura. L’amore è l’incontro, è l’attimo, quell’attimo a cui si concede una durata infinita. Una speranza senza riserve.

Credo profondamente che l’essenza del sentimento umano più vero risieda nella promessa che dura, in un volto particolare, nella diversità che diviene familiare, e non nel consumo disperato. Credo che la bellezza stia in quella durata, in quel frangente di tempo che si dilata all’eternità, e non nella scoperta continua del Nuovo. Questo è quello in cui credo, e quello a cui, Massimo Recalcati, in un modo magistrale sia nella scrittura che nel dialogo, tenta di dare voce.
In un tempo in cui tutto sembra rincorrere la sirena perversa del Nuovo, questo libro vuole essere un canto dedicato all’amore che resiste e che insiste nella rivendicazione del suo legame con ciò che non passa, con ciò che sa durare nel tempo, con ciò che non si può consumare. Non si occupa degli innamoramenti che si esauriscono nel tempo di una notte senza lasciare tracce. Indaga gli amori che durano nel tempo di una vita, che lasciano il segno, che non vogliono morire, che sconfessano la sentenza cinica di Freud secondo la quale amore e desiderio sono destinati a vivere separati perché l’esistenza dell’uno escluderebbe necessariamente quella dell’altro. Tratta di quegli amori […] in cui l’estasi dell’incontro si ostina a ripetersi, a volersi ancora, a restare fedele a se stessa, in cui l’ebbrezza non si dilegua, ma investe il senso stesso del tempo rendendolo eterno. Sono gli amori animati da quello che il poeta Paul Eluard, citato una volta da Jacques Lacan, definisce “il duro desiderio di durare”.
Massimo Recalcati, Non è più come prima. Elogio del perdono nella vita amorosa, Milano, Raffaello Cortina editore, 2014, pp. 12-13.
ALESSIA MONETA