Venni a conoscenza per la prima volta della figura di Ezio Bosso nel lontano San Remo 2016, l’anno della conduzione dell’abbronzatissimo Carlo Conti. Non appena il Maestro entrò sul palco, il gelo in sala. Nessuno si aspettava l’entrata in scena di un uomo in carrozzina dalla chiacchera sincopata dovuta ad una malattia degenerativa che da lì a poco gli avrebbe impedito di fare musica. Sembrava tutto improvvisato e spontaneo, cosa assai rara in televisione. Conti affermò infatti che il suo primo incontro con Bosso avvenne proprio sul palco dell’Ariston. Una situazione surreale: un uomo che a stento faticava nell’emettere parola e ad esprimere tutta la gioia che aveva dentro. Mi colpì molto la sua esuberanza che tracotava da quel corpo ingrato che non gli permetteva di far emergere il suo pensiero in toto. Mi rimase inoltre molto impressa una frase pronunciata da lui poco prima di suonare: <<I direttori d’orchestra fanno magia, infatti hanno la bacchetta come i maghi>>. Rimasi veramente stupito e commosso dalla figura del Maestro torinese: sembrava folgorato, incredulo che anche lui potesse avere il privilegio di poter calcare il blasonato palco ligure. Eppure, Bosso non era un improvvisato della musica. Se non lui a San Remo, allora chi? Appena appoggiò le dita sul pianoforte si trasformò in un uomo nuovo, scisso dal suo corpo che finalmente scorrazzava libero tra le note del pentagramma. Poco tempo dopo a Bologna, passeggiando in direzione di Via Petroni da Piazza Aldrovandi mi parve di scorgere una figura a me nota. Era lui, seduto nel bar all’angolo davanti alla Farmacia Aicardi. Stava leggendo uno spartito e bevendo un caffè. Non potevo crederci. Sentii una forte palpitazione che mi spinse a camminare verso il suo tavolino e senza freni inibitori mi venne da pronunciare una frase banale ma veramente sentita: <<Maestro… grazie!>>. Lui mi guardò, sorrise e con l’occhio lucido riabbassò lo sguardo.

Mi ha toccato molto leggere oggi la notizia della sua prematura scomparsa. Una persona piena di vita, con un entusiasmo e una voglia di fare fuori dal comune. Penso che sia una caratteristica diffusa di chi ormai capisce quanto possa essere vicina la morte: si apprezza appieno il dono della vita. Un’ esistenza sicuramente sofferta e angosciante dentro quel corpo. Una vita a cui lui però sono sicuro abbia dato un forte valore. Quel mio “grazie” è venuto proprio da questo sentimento: grazie per avermi mostrato come ci sia un altro modo di vedere le cose, di assaporare momenti, di condividere gioie e dolori.
Grazie per avermi ancora una volta dimostrato come la musica non ponga nessun limite: è un linguaggio universale.
EDOARDO CAPPELLARI