ISTITUZIONI SENZA CRAVATTA

Questa è l’epoca della politica informale: il Ministro dell’Interno che arringa le folle delle varie sagre paesane di tutta Italia, il Ministro del Lavoro che mostra la sua onestà facendo vedere al popolo che viaggia in Economy class, il Ministro dei Trasporti che si confonde tra Autostrade e Ponti per poi rammentare a tutta la platea che ha sbagliato i termini a causa della stanchezza, un Vice premier che battibecca con rapper e cantanti, etc..

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Lugi Di Maio, Vice-Premier.

L’atteggiamento non è proprio solo del “Governo del cambiamento” ma è una tendenza che ormai si registra da decenni: “giudici comunisti”, “vecchi parrucconi”, erano già il preludio di un dialogo politico che stava lentamente scemando. Al di là dei meri episodi di cronaca rosa dei vari funzionari di Stato, l’informalità che sta alla base di tutto il complesso politico deve però fungere da campanello d’allarme.
La crisi dell’Istituzione non appartiene solamente ad un progressivo scollamento da parte dell’opinione pubblica nei confronti di un dibattito sempre meno politico e sempre più personale, ma dipende anche in buona parte dai rappresentanti delle Istituzioni stesse. Nel momento in cui si svilisce il proprio ruolo istituzionale in ogni comparsata pubblica, è sintomatico che anche gli elettori non recepiscano più lo Stato come un qualcosa di forte, stabile, serio, sicuro.

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Matteo Salvini, Vice-Premier.

Così come, tra felpe, divise e torsi nudi (un ricordo che sa molto di vecchia propaganda anteguerra) viene esibita la propria immagine pubblica, è vero anche che “l’abito non fa il monaco”. Don Francesco Fuschini, però, che conviveva in Romagna con anarchici, comunisti e repubblicani, diceva in modo autoironico: “se devi mandare un accidente al prete in un campo di neve, lo devi riconoscere subito con la sua tonaca nera!”.prete nella neve
Il punto quindi è: la persona è ovviamente scissa dal ruolo che ricopre ma solo nel momento in cui non esercita le funzioni che lo stesso ruolo le attribuisce.

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Aldo Moro in spiaggia con la figlia.

Aldo Moro andava in spiaggia in giacca e cravatta perché riteneva che la rettitudine propria dello status che egli deteneva, imponeva un “dress code” sempre impeccabile. In questo senso si può dire che Moro era esagerato, ma non si può giustificare un Ministro dell’Interno che scatta selfie al Papete di Milano Marittima. La cosa più importante però è che questa attitudine è riflessa soprattutto nel parlato, nel modo di comunicare tra alleati e nemici politici: il dialogo da Bar-Osteria non fa altro che svilire ulteriormente il ruolo che la persona ricopre. Se si ha il privilegio di ricoprire la carica di Ministro dello Stato, sarebbe bene che anche il proprio comportamento si adeguasse al proprio ruolo, e se questo non avviene, forse significa che qualcosa non funziona nella condotta sociale del protagonista politico.
Per quanto riguarda la crisi dell’Istituzione, i grandi temi come la giustizia, la stabilità, la serietà, sono sempre stati affrontati dalla dottrina politologica, sono tutte Utopie a cui lo Stato deve tendere tenendo ben presente quello che il signor Anselmo Paleari disse ad Adriano Meis ne “il fu Mattia Pascal”: è la luce che guida un individuo in mezzo all’oscurità. Allo stesso modo, questi grandi ideali dovrebbero guidare la politica sempre più immersa in un’oscurità permeante.
La politica in questo senso ha smesso di reggere la fiaccola ed ha incominciato ad allungare le mani nel buio pesto, facendo sì che anche l’utopia venisse meno. L’epoca delle grandi narrazioni fondamentalmente era caratterizzata da maggiore dogmaticità di pensiero, ma anche più consapevolezza: l’indirizzo politico era chiaro, mirato, serio (condivisibile o meno). Nel corso del nuovo millennio questa caratterizzazione, per tutte le fazioni politiche, è venuta meno, facendo sì che fosse irrilevante l’orientamento di una politica a discapito di un’altra: l’importante è il consenso a tutto tondo. Questa tendenza è stata adottata da tutte le forze politiche, ripeto: tutte.
La nuova generazione avrebbe invece bisogno del contrario, un ideale forte, serio, ponderato che indirizzi le coscienze, che dialoghi con esse e che si interroghi sul perché continua ad esserci molta riluttanza nei confronti delle Istituzioni.
Facendo una fotografia di quello che i giovani vivono vi è la conferma che un Dialogo non esista più. La politica in questi termini è uno strascico, un derivato, un riflesso. Non c’è dialogo tra giovani, tra generazioni, tra pensieri… questo perché non ci sono pensieri. Ci sono solo prese di posizioni arroccate su considerazioni personali, verità proprie e ascientifiche. Bisogna quindi cercare di trasportare il discorso teorico nella realtà empirica: l’obiettivo non è quello di voler costruire una società dove tutti vadano d’accordo tra loro (questa sarebbe follia e non utopia), bensì quello di riportare al centro del discorso il giovane e il suo pensiero. L’educazione al pensare e al comunicare in questi termini diventa fondamentale: la dicotomia novecentesca in un mondo così complesso e globalizzato, non può più essere presa come riferimento. In altre parole: il pensiero dicotomico in ogni sfera non è più assumibile.
L’obiettivo quindi è quello di riportare la formalità nell’informalità sconcertante, di rieducare il figlio all’ascolto e allo scontro, per arrivare ad una sintesi e non sempre ad una nuova tesi.

matteo renzi instagram

Matteo Renzi

La politica deve ritornare ad assumersi le responsabilità che le competono e operare una vera rivoluzione culturale, non di “dirette Facebook” o foto di cene familiari su Instagram.

Edoardo Cappellari

Una risposta a "ISTITUZIONI SENZA CRAVATTA"

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