“Giuseppe Giacobazzi, nome d’arte di Andrea Sasdelli (Alfonsine (RA), 19 febbraio 1963), è un attore e cabarettista italiano. È noto per le sue esibizioni caratterizzate dall’uso dell’accento romagnolo e di un abbigliamento stravagante”. Così recita l’incipit della pagina di Wikipedia a lui dedicata.
È tanto, tantissimo che seguo Giacobazzi: fin dai suoi primi esordi sulla televisione nazionale. Di fatti è da quando avevo più o meno 13 anni che seguo costantemente qualsiasi suo lavoro reperibile online. Mi sono innamorato e mi sono imposto nel dover assolutamente andare ad un suo spettacolo. Sono innamorato della sua comicità, della sua ironia, della sua intelligenza evidenziata dai suoi testi mai volgari che riescono a strapparmi lacrime ogni volta che li riascolto. Non si può a mio avviso, non apprezzare la semplicità e la bonarietà con cui si rivolge al pubblico. Ed è proprio questa la sua forza: non ha bisogno di costruirsi un personaggio, lo è già. Del resto, parte con un vantaggio antropologico di gran lunga evidente: è romagnolo. Terra a me vicina data la mia composizione sanguigna: padre mantovano e madre ravennate. Eppure, nonostante non abbia vissuto a pieno quella terra fantastica che è la Romagna sento in cuor mio di aver contratto lo stesso gran parte dell’ignoranza del tipico patacca romagnolo.
Ed è qui il segreto di Giacobazzi: è del tutto evidente che è poco costruito il copione che recita nei suoi spettacoli proprio perché racconta fatti del tutto plausibili che solo in periferia di città e paesini di campagna possono accadere. Quello che fa più ridere è che gli stessi fatti che tutti noi ragazzi di paese abbiamo vissuto (e ahimè, i ragazzi di città da questo punto di vista non sanno che si sono persi) li racconta lui condendoli con la tipica “sburoneria” romagnola che fa crepare dalle risate. Ed io, immagino le stesse scene che lui racconta trasponendo le facce dei miei amici sui soggetti di cui Giacobazzi parla. Sebbene la campagna mantovana non sia minimamente paragonabile con quella romagnola (il senso di appartenenza dei romagnoli e la capacità che hanno nel mettere a proprio agio la gente è di un’altra categoria) le dinamiche che intercorrono nei piccoli bar di paese e nelle piazze sempre più isolate dai grandi centri sono le stesse. Figuriamoci nell’Italia di Giacobazzi, quella degli anni ’70.
Giacobazzi racconta la vita, soprattutto la sua. Il fatto che faccia ridere, deriva proprio da questo: è una persona normale che parla di rapporti normali che quasi tutti gli altri hanno vissuto o vivono. Uno su tutti è il rapporto di coppia.
Nei suoi testi non c’è mai un’allusione sessuale volgare, mai battute ridicole e tirate create ad hoc da autori o presunti tali che mirano a far ridere il popolino ignorante. A proposito di questo argomento vorrei aprire un piccolo inciso: ad oggi, dopo la “chiusura” di Zelig non esiste più un programma comico che faccia ridere senza scadere nel ridicolo. Ogni anno cerco di riprovare a guardare Colorado e ogni anno lo ridescrivo con le stesse due parole: <<che schifo>>. Comicità di bassa lega, battute che non farebbero ridere neanche due bambini delle scuole medie un po’ sempliciotti, volgarità a profusione, rutti, scoregge e tanta f…atica nel riuscire a ridere. A proposito: se in un programma comico si è costretti a dover inserire donne nude, già di per se si può intuire la qualità dell’intrattenimento. Infatti, il pubblico è pagato.
Ecco, Giacobazzi è fuori da questa logica. Lui è uno che si è fatto la gavetta e si vede. È uno che si è fatto il mazzo ad ogni festival dell’Unità della propria regione, uno che ha visto pubblici difficilissimi, che si è esibito inizialmente davanti a quattro gatti. Ed è proprio questo che l’ha reso grande. Si è migliorato, ha studiato, si è perfezionato. La televisione, come del resto i social networks, ribaltando il paradigma, cerca invece di convincere lo spettatore che il successo è immediato, che tutti possano diventare famosi, che tutti possano fare qualsiasi cosa senza il minimo sforzo. Ed è in questo caso che mi sento di spezzare un’altra lancia in favore di Giacobazzi: lui stesso (a suo modo) cerca di mettere in guardia le persone da tutte le stronzate che ci vengono propinate ogni giorno.
Quanto mi sono divertito e mi diverto nell’interpretare i suoi sketch durante le cene tra amici. Sketch che ormai conosco a memoria. Ogni volta è un trionfo: il testo è forte, simpatico, scorrevole. Lo ascolteresti ore. E quell’accento bonario da patacca è formidabile. Come si spiega ad un forestiero che significa essere un “patacca sburone”? Ci pensa sempre Giacobazzi.
Non posso in questa sede non citare inoltre un altro pezzo memorabile del comico romagnolo. Ogni volta che in lontananza in macchina vedo la scritta del famoso supermercato Coop, sorrido perché immagino di rivivere le scene raccontate da Sasdelli.
Grazie Giacobazzi per tutta la compagnia che mi hai fatto e le lacrime che mi hai strappato. Ho voluto renderti questo piccolo omaggio come ho fatto con altri personaggi (si veda ad esempio https://art-i-colo-21.com/2019/10/14/julio-velasco/ o https://art-i-colo-21.com/2019/02/23/vasco-vs-sfera-ebbasta/).
Non c’è modo migliore di concludere questo breve articoletto con il motto del mio sito ed in parte della mia vita.
Non puoi essere serio se non ridi mai
Fryderyk Chopin
EDOARDO CAPPELLARI