Sono passati esattamente 75 anni da quel lontano 25 aprile del 1945. Dato il progressivo innalzamento dell’età media dal secondo dopo guerra ai giorni nostri non si può nemmeno più lapidariamente dire: “è passata una vita”. Probabilmente tanti di noi hanno nonni più vecchi che magari quel giorno l’hanno vissuto, loro c’erano. Eppure, ancora ad oggi ci ritroviamo ogni anno in quello squallido teatrino da talk show impregnato di opinionisti che secondo personalissimi dettami ci concedono la loro versione dei fatti non richiesta: “25 aprile SI”, “25 aprile NO”. La stessa politica frutto di quella fatidica data partecipa al parterre dello squallore.

75 anni fa proprio durante questo giorno, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, dopo gli avvenimenti di Bologna e Genova, dichiarò insorgenza nazionale a quel che rimaneva dello Stato fascista sul suolo italico. È una data simbolo che ha permesso all’Italia di spezzare le reni del nazifascismo (per dirla alla Mussolini) per dichiararsi una Repubblica l’anno seguente, e nel 1948 proclamare la Costituzione italiana attualmente in vigore. Il 25 aprile è una data di tutti. Lo è perché dal punto di vista storico ha contribuito alla creazione della nostra attuale Nazione, ha dato adito alla promulgazione dell’odierna carta costituzionale, al riconoscimento di tutte le forze sociali, al sancire diritti inviolabili e a creare un nuovo inizio. Dopo 75 anni, bisogna nuovamente ripeterlo:
IL 25 APRILE NON È UN GIORNO DEDICATO A NESSUN COLORE POLITICO BENSÌ ALLA LIBERTÀ.

Leggiamo, impariamo e facciamone tutti tesoro di ciò che Piero Calamandrei, uno dei grandi padri della Carta costituzionale, scrisse a “botta” calda: “La politica non è una cosa piacevole, però la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare!”.

Tanti (non tutti) onorevoli (che di onorevole hanno solo il sostantivo davanti al nome) che si permettono di esprimere un’opinione su cosa significhi questo prezioso giorno io li definirei così: scorretti, ignoranti, intellettualmente disonesti, ma soprattutto nostalgici. Eppure, siedono in parlamento grazie a questo giorno, grazie ai partigiani che hanno sacrificato la vita e hanno, con l’aiuto degli eserciti alleati, sconfitto il nemico. Il partigiano infatti, per ciò che rispecchia dovrebbe rappresentare tutti gli italiani, anche quelli avvezzi al “quando c’era Lui”. Il partigiano è simbolo di unità nazionale. Su questo punto è bene ribadire come non sia infatti una casualità che Sandro Pertini sia stato uno dei Presidenti della Repubblica più apprezzati nella nostra recente storia, uomo del popolo dentro le istituzioni:
“Buongiorno Italia, gli spaghetti al dente|E un partigiano come presidente”,
cantava Toto Cutugno nel più recente 1983.
Partigiano che fece parte del Comitato di Liberazione come uno dei leader. D’altro canto, è bene ribadire come la retorica opposta, quella della sinistra sterile, non porti nessun vantaggio al ricordo di una data tanto importante: gridare alla resistenza per ogni manifestazione di piazza è un abominio tanto quanto negare la rilevanza del 25 aprile. La resistenza è una cosa seria, è una lotta che è stata fatta per garantire a tutti la possibilità di esprimere un pensiero ma non può essere evocata per perorare ogni causa personale. Ed è per questo che una bellissima canzone come Bella Ciao è diventata agli occhi di molti detrattori simbolo di una massa indefinita di sinistroidi o presunti tali che imbracciano i valori partigiani solo quando torna comodo e come scusa per fare un po’ di casino.
Il risultato di questa pratica è agli occhi di tutti noi: si foraggia l’odio che c’è dall’altra parte della barricata e si svilisce al contempo quasi un secolo di storia. Si rischia sempre di ricadere nel personalissimo modo di vedere la vita e di commentare qualsiasi avvenimento con la stessa “accuratezza” degli opinionisti sopracitati. Difendere un’idea, un pensiero e una politica non è resistenza bensì democrazia. Concetto partorito dalla resistenza ma non sinonimo. Il vivere democraticamente infatti impone l’accettazione di vari pensieri differenti e non il tacciare ogniqualvolta come fascista chi non la pensa secondo il personale dettame. Su questo bisogna ancora una volta adottare la filosofia pertiniana: io lotto affinché tu possa esprimere un’idea, tranne che l’idea stessa non sia negazione delle altre voci.
Non si può quindi tollerare che sia data voce anche a coloro che vorrebbero negare quella degli altri. Non è un caso che il nome del Blog sul quale questo articolo è pubblicato sia Articolo 21. Io credo fortemente nella libertà di espressione e di pensiero, non a caso ho deciso di chiamare il mio sito internet come uno dei più significativi articoli della nostra Costituzione:
ARTICOLO 21
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
Ringraziamo che ci sia stato un 25 aprile in Italia: senza di esso non potremmo nemmeno essere liberi di dire che “il 25 aprile è la festa dei comunisti”. A mio avviso, quello che la storia partigiana ha insegnato è quanto esplicitato da Giorgio Gaber in una delle sue più iconiche canzoni: essere liberi vuol dire partecipazione!
Dietro ogni articolo della Carta Costituzionale stanno centinaia di giovani morti nella Resistenza. Quindi la Repubblica è una conquista nostra e dobbiamo difenderla, costi quel che costi
Sandro Pertini
EDOARDO CAPPELLARI