SILVIA ROMANO

Questo paese è un grande manicomio a porte aperte. Rappresenta la metà del progetto rivoluzionario di Basaglia, un grande uomo tanto conosciuto ma purtroppo troppo poco ascoltato. Basaglia non ha mai voluto riformare il manicomio, né trasformarlo. La sua intenzione era distruggerlo, ridefinendo l’idea di follia e di uomo stesso.  E come curare i “malati”, senza manicomi e senza restrizioni? Aiutandoli – e aiutandoci – a prendere coscienza della loro condizione. Dei rapporti di potere che definiscono il povero, improduttivo nella società del consumo, un deviante, un elemento di scarto da controllare.

Franco Basaglia, psichiatra a cui è attribuita l’omonima legge

Servirebbero centinaia di Basaglia in questo mondo, e oggi più che mai. Dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi, ci hanno “liberati”; una carta costituzionale ha conferito a tutte le persone indistintamente la facoltà di essere libere, ma non abbiamo mai imparato ad esserlo. Non ci hanno resi coscienti del significato della libertà e di tutte le responsabilità ad essa connesse. Quindi è una liberazione a metà. Siamo passati dal manicomio ai reparti di psichiatria (“piccoli manicomi”) nascosti negli ospedali.

Franco Basaglia

Il caso della liberazione di Silvia Romano è un esempio significativo in questo senso. Gli italiani, ancora una volta, hanno dimostrato in che misura siano incapaci di gestire la propria libertà: la sacra libertà di pensiero e di esprimere la propria opinione. Si leggono, in questi giorni, moltissimi giudizi senza nessun pensiero alla base che non sia una presa di posizione: non è più come noi, ci ha traditi, dunque potevamo lasciarla affondare. Oppure: viva la libertà di culto, viva il multiculturalismo, quel multiculturalismo che Silvia Romano in questo momento sta incarnando perfettamente. Una donna che liberamente ha scelto di andare a far volontariato in Africa e liberamente ha deciso di convertirsi all’Islam per trovare la propria pace interiore mentre si trovava le mani dei suoi aguzzini. Non lo so. Penso che le cose siano molto più complesse di quello che i media stanno lasciando trapelare. E credo che questa confusione stia producendo i suoi effetti benefici: il problema ora è Silvia, non è un governo di incapaci che di fronte a una situazione d’emergenza sta gestendo tutto nel modo peggiore possibile, ossia tergiversando. Questi giudizi sono il simbolo di quanto questo paese sia composto di schiavi, di quanto tutte le meravigliose parole scritte nella Costituzione non siano rimaste che parole. Della libertà non sappiamo che farcene, se la prima cosa che pensiamo è quella di comunicare impulsivamente al mondo quanto ci facciano rabbia quei fantomatici 4 milioni versati per una ragazza che è rientrata conciata in un modo che non rispecchia le nostre aspettative. Essere liberi significherebbe chiedere, o aspettare, chiarimenti. Aspettare prima di giudicare dato che le informazioni sono confuse e contradditorie. Attendere il momento in cui sarà possibile parlare con coscienza.

Silvia Romano

La mia intenzione non è quella di prendere una posizione, personalmente non sto capendo nulla in questa faccenda. E mi stupisco che la maggior parte delle persone, invece, una posizione l’abbia presa fin dal primo minuto. Questo mette in luce anche un altro elemento: che l’odio e l’intolleranza sono un cancro inestinguibile. Malati che accusano altri malati perché credono che malattia del prossimo sia più grave della propria; o ancora, malati che accusano uomini guariti perché non sanno cosa sia la libertà e ne hanno paura, quindi la disprezzano. Basaglia diceva che il malato più grave è lo psichiatra, quello che mette in pratica una tecnica che è funzionale alle esigenze dei potenti, quello che non capisce che l’idea di malattia è solo uno dei tanti discorsi etero-prodotti, che rimango inanalizzati; e ancora, lo psichiatra è il vero malato che non capisce che la follia è parte dell’essere umano, che ragione e follia sono parte di uno stesso gioco. Così, si illude di “curare” la follia nel paziente che ha tra le mani senza riconoscere la stessa componente di follia che risiede in lui.

Giuseppe Conte e Silvia Romano

Non riconosciamo di essere schiavi, e questo ci rende ancora più gravemente schiavi. Incatenati, condannati a guardare le ombre dal muro della caverna perché siamo noi stessi a volerlo, perché non possiamo reggere lo scontro con la luce del giorno. Ci proteggiamo dalla libertà, mentre continuiamo a chiamarla a gran voce in questo momento in cui ci sentiamo prigionieri. E allora, questa parola perde il suo senso. Vogliamo essere liberi, ma non sappiamo come si fa, e non sappiamo nemmeno che cosa significhi essere liberi.

Copertina de Il Giornale

Io non so dire cosa sia successo a Silvia. Forse, in fondo, lo saprà sempre e solo lei. E vorrei, ma so già che è una battaglia persa in partenza, che questo non fosse un pretesto per cominciare nuovamente a parlare dell’Islam e di quanto ci stia pericolosamente infettando. Vorrei che si riflettesse solamente sul fatto che, chiusi in casa da poco più di due mesi, stiamo tutti andando fuori di testa. Non abbiamo nessuno che ci punta contro pistole là fuori… Silvia ha passato diciotto mesi della sua vita nelle grinfie di al-Shabaab.

Ho detto tutto.

ALESSIA MONETA

Una risposta a "SILVIA ROMANO"

  1. Zenzero

    Articolo bello, e vero, interessanti le riflessioni su Basaglia, che vorrei leggere, per comprendere il suo pensiero.
    Siamo un popolo di infelici e abbiamo continuamente bisogno di un nemico, perché? Il nemico potrebbero essere le nostre paure o il riflesso di un desiderio non appagato o un desiderio frustrato o semplicemente l’altro, l’indefinito, lo straniero, che ci contempla da un altro angolo di mondo e allo stesso tempo ci completa in quella che è la molteplicità della forma dell’esistenza.
    Il nemico è anche colui che ci vuole definire incasellare in una statistica, dentro ad un archivio, fare la sintesi della nostra vita per renderla oggetto del suo studio, in un climax di sperimentazione dove si è simili alla povera scimmia decorticata che non sa più arrampicarsi.
    Il nemico è una Silvia Romano caduta in un altro mondo e ritornata nel suo fra i suoi simili che non la vogliono più, non la desiderano più perché ha avuto quel coraggio che molti si sognano e non ha quell’ipocrisia che spesso viene usata come strumento diffamatorio per scopi nebulosi.
    Siamo un popolo di infelici e pensiamo di risolvere l’infelicità annientato il fantomatico nemico e lo si cerca ovunque senza mai cercare dove esso si annida cioè dentro ad ognuno.

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