Niente da fare… agli italiani il fascino della divisa fa sempre lo stesso effetto. In fondo, siamo un popolo a cui piace l’uomo forte, sicuro, quello che arriva e con polso duro risolve tutti i problemi. Piace proprio a tutti o quasi.
È un errore considerare questo tipo di atteggiamento come proprio solo del “popolino”, anzi, forse è quasi più fastidioso quando sono proprio gli invitati dei salottini televisivi borghesi a giustificare l’arrivo dell’uomo forte. La boria del “professore” di turno invitato per difendere questo o quello è insopportabile. Un motivo c’è se alcuni partiti hanno vistosamente perso consenso in questi anni.

Le forze armate in Italia piacciono a tanti ma non a tutti. Riferendomi al passato, basti pensare a Don Milani e alle sue proteste del dopo guerra contro la leva militare obbligatoria attraverso le quali invitava all’obiezione civile. Per tali opinioni antiregime fu processato e condannato per apologia di reato ed infine estinto solo perché il parroco di Barbiana morì lo stesso anno del processo di appello. Se pensiamo al post sessantotto la situazione non cambiò. Negli anni ‘70 chi rifiutava di indossarla (la divisa) o chi anche solo la contestava nei contenuti era osteggiato ma soprattutto condannato socialmente.

Per essere chiari questo idealtipo di leader che agli italiani piace tanto non per forza deve esibire il tricolore sul petto tronfio ma può benissimo indossare giacca e cravatta. Basti pensare a tutti i commenti scaturiti da giornalisti ed esperti del settore dopo la nomina a Presidente del Consiglio di Mario Draghi: elogi, estasi, gioia, piante in fiore, aumento delle nascite, sconfitta della fame nel mondo, e chi più ne ha più ne metta. Visto? È la sindrome da uomo forte: il Mr. Wolf di Pulp Fiction. Lui viene e risolve problemi. Peccato che nel Film di Tarantino non dovette formare una squadra con Carfagna, Brunetta, Di Maio, etc… come il nostro eroe nazionale. Non voglio attaccare Mario Draghi, persona che reputo seria e competente, ma il torbido sciame di avvoltoi pronti sempre e comunque ad attaccarsi al capezzolo del potere senza mai riuscire per intelletto o questioni di portafoglio a produrre una seria analisi di ciò che ci circonda.
Ora in Italia abbiamo anche un altro uomo forte al comando: il generale Francesco Paolo Figliuolo. A me personalmente fa un gran ridere quando lo vedo partecipare ed intervenire alle numerose conferenze a cui è invitato. Mi fa ridere in primis vedere la penna del cappello che indossa: non so perché ma mi ricorda Totò.
Quello che rende più amara la mia risata è il lessico da propaganda bellica che utilizza: <<Siamo in guerra>>. Mi fa infine sorridere al pensiero che i nostri nonni e genitori diano manforte ad un signore che indossa un cappello con una piuma bianca in testa probabilmente pensando: <<questo ha fatto la guerra, è l’uomo giusto>>. Ed è proprio questo il punto: quando la politica diventa militare, abbiamo perso inconsciamente tutti.

Ma l’italiano non si rassegna, da quello più colto all’uomo semplice, il fascino della divisa rimane tale. Noi infatti siamo il paese della Gavetta! E capendo l’origine di questo modo di dire si spiegano tante cose anche nel mondo del lavoro. La gavetta è un recipiente di alluminio nel quale i soldati al campo ricevevano e consumavano il rancio. “Fare gavetta” infatti significa compiere tutto l’iter militare per arrivare al tavolo dei superiori dove si può accedere a tutt’altro trattamento. Noi viviamo in un paese dove la gavetta piace. Ma non quella sana e buona. A noi piace la gavetta che sa di nonnismo: la gavetta che non permette a giovani preparati di ottenere meriti lavorativi che gli spettano perché appunto “c’è da fare la gavetta” e vengono quindi costretti ad emigrare. Per noi giovani il punto non è non fare sacrifici e sforzi come giusto che sia perché appartenenti alle nuove leve del mondo del lavoro, bensì dover giustificare un sistema basato sullo sfruttamento e sul continuo svilimento della nostra figura professionale perché “tanto sei giovane, ne hai di gavetta da fare”. Tradotto volgarmente vuol dire stare confinati in un posto dove le responsabilità che ti danno sono sempre al di sotto delle tue capacità e dove si è sempre a rischio licenziamento.

Il rimando militare nella nostra cultura, nella nostra politica, nel nostro fare azienda è capillare. Non è un caso che il panorama italiano sia composto da microimprese dove solitamente è presente il generale supremo detto anche capo e pochi dipendenti che ne temono il potere. Non è un caso che anche aziende vistosamente più grosse siano amministrate allo stesso modo.
Ma noi italiani non ci rassegniamo. Seduti al bar siamo ottimi politici, imprenditori, medici e allenatori ma quando c’è da scendere in campo aspettiamo sempre lui: Mr. Wolf che arriva e ci salva tutti.
EDOARDO CAPPELLARI